Porpora trombocitopenica autoimmune (PTA)

La porpora trombocitopenica autoimmune (PTA) o morbo di Werlhof è una patologia caratterizzata da piastrinopenia isolata, dovuta a iperdistruzione piastrinica periferica su base autoimmune. Dal punto di vista clinico sono distinguibili due forme, con caratteristiche in parte differenti.

  • La forma acuta interessa più frequentemente il bambino, ha un esordio più rapido generalmente a seguito di una virosi, con piastrinopenia severa e il decorso è nella maggior parte dei casi benigno, con normalizzazione del numero delle piastrine in modo spontaneo o a seguito di terapia steroidea.
  • La forma cronica interessa l’adulto, ha un’esordio più subdolo e un decorso clinico che nel 20-30% dei casi può rendere la piastrinopenia refrattaria a vari presidi terapeutici (steroidi, splenectomia, vari farmaci immunosoppressori), esponendo così il paziente sia ad un rischio emorragico determinato dall’età dell’individuo, dall’entità della piastrinopenia e dalla durata di esposizione a tale condizione, sia ad un rischio infettivo, legato al prolungato uso di farmaci immunosoppressori.

Per quanto riguarda quest’ultima forma di PTA, la comunità scientifica, a partire dagli anni ’50, ha progressivamente focalizzato alcuni aspetti patogenetici, riuscendo a dimostrare le caratteristiche di autoimmunità della malattia e il bersaglio a livello piastrinico contro il quale agiscono gli autoanticorpi. Successivamente si è assistito ad un rallentamento delle conoscenze patogenetiche, a fronte di un sempre più esteso impiego di farmaci “genericamente” definiti immunosoppressori o immunomodulatori (steroidi, azatioprina, ciclofosfamide, danazolo, Immunoglobuline ad alte dosi, Immunoglobuline antiD, ecc.), che comunque non hanno modificato significativamente il decorso clinico dei pazienti refrattari. Negli ultimi 5-6 anni, guidati dalla consapevolezza che solo un ulteriore passo avanti nelle conoscenze patogenetiche avrebbe consentito di utilizzare al meglio l’armamentario immunosoppressivo disponibile, che nel frattempo si era significativamente arricchito, alcuni ricercatori, tra i quali anche il nostro gruppo di studio, si sono concentrati su ciò che accade a monte della produzione di autoanticorpi ed in particolare su ciò che induce l’attivazione del compartimento linfocitario T e sul ruolo che ha in ciò la cellula presentante l’antigene (APC). Riassumendo quindi le più recenti acquisizioni e ipotesi di lavoro, l’APC e i Linfociti T sembrano avere in qualche modo un ruolo determinante nel promuovere la produzione di autoanticorpi da parte del compartimento linfocitario B, da qui la possibilità di trasferire queste interessanti informazioni nella pratica clinica.

Un primo passo verso l’adozione di provvedimenti terapeutici più mirati, cosiddetti “intelligenti”, è stato fatto in questi ultimi anni, sfruttando l’esperienza clinica acquisita con il largo uso di anticorpi monoclonali nel trattamento delle patologie linfoproliferative (Linfomi non Hodgkin e Leucemia linfatica cronica). L’anticorpo monoclonale chimerico anti CD20 diretto contro i linfociti B, si è dimostrato in grado di migliorare stabilmente in modo significativo la piastrinopenia in circa il 30 % dei pazienti nei quali è stato testato, tenendo conto che nella maggior parte dei casi si trattava di pazienti refrattari a più linee terapeutiche. Dati interessanti derivano anche dall’impiego dell’anticorpo monoclonale anti CD40L, molecola quest’ultima importante nella risposta B linfocitaria T-dipendente. Esistono inoltre dati, seppur in numero meno consistente rispetto alle molecole sopra citate, riguardanti la possibile utilità dell’anticorpo monoclonale anti CD52, che riconosce come bersaglio il compartimento linfocitario in senso più esteso (sia B che T). L’uso di questa molecola deve comunque essere validato da un maggior numero di segnalazioni nell’ambito di studi di fase II, sia per quanto riguarda la sua efficacia, che per quanto riguarda il rischio di complicanza infettiva al quale il paziente viene esposto. Recenti studi in vitro e alcuni clinici di fase I-II su modelli animali di lupus, encefalomieliti, tiroiditi, miastenia gravis e su pazienti con psoriasi, artrite reumatoide, sclerosi multipla e piastrinopenia autoimmune, hanno fornito dati incoraggianti sull’uso della molecola CTLA4Ig, in grado di bloccare l’interazione tra la molecola di costimolazione B7 sull’APC e il recettore T linfocitario CD28, con conseguente orientamento del sistema linfocitario in senso tolerogenico. E’ quindi interessante osservare come la terapia della piastrinopenia autoimmune abbia modificato nel tempo il proprio target, con il progressivo chiarirsi dei meccanismi patogenetici, agendo inizialmente a valle con la distruzione degli autoanticorpi o dei linfociti B che li producono; successivamente, risalendo a monte verso la “scintilla” che accende la cascata autoimmune, lo scopo della terapia è diventato quello di essere il più possibile mirato e finalizzato a neutralizzare le prime fasi patogenetiche, che avviano il processo anticorpo mediato T-dipendente..

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