Mutagenesi molecolare e riparazione del DNA

Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
s.s. Mutagenesi molecolare e riparazione del DNA
Valutazione di nuovi agenti antineoplastici induttori di specifiche lesioni al DNA
Linea di ricerca: 1 – Prevenzione e Cancerogenesi
Programma: a – Fattori di rischio esogeni ed endogeni e loro eventuali interazioni
Responsabile scientifico: Gilberto Fronza
Altro personale della struttura partecipante al progetto: Paola Menichini, Debora Russo, Paola Monti
Anno di inizio: 2009
Durata: 36 mesi
Parole chiave: agenti antineoplastici/alchilanti; 3-metiladenina; letalità; mutagenicità; saggio in lievito
Altre strutture IST partecipanti: s.c. Anatomia e citoistologia patologica (L. Ottaggio)
Altri Enti coinvolti: Department of Pharmaceutical Sciences, University of Pittsburgh, U.S.A. (B. Gold); Georgia Tech
Institute, Atlanta, USA (K. Lobachev); Centre for Integrative Biology, Università di Trento (A. Inga), University of
Florida USA (S. Tornaletti)
Tipologia progetto: preclinica<br />Area di interesse: terapeutica/quality of life
Soggetti cofinanziatori: National Institute of Health (USA); Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
Background
Il danno al DNA indotto da molti degli antineoplastici usati in clinica svolge un ruolo fondamentale sia per gli effetti
terapeutici desiderati (citotossicità, apoptosi) nelle cellule tumorali, che per quelli indesiderati (mutagenicità). Questo
problema è messo in rilievo da possibili tumori secondari attribuiti al trattamento con agenti antineoplastici del primo
tumore. Gli agenti alchilanti in uso nella chemioterapia convenzionale sono in grado di indurre un elevato numero di
diversi tipi di lesioni al DNA (e.g., O6-alchilguanina, N7-alchilguanina, N3-alchiladenina etc.). Questo complica non
poco la comprensione del ruolo biologico di ogni singolo tipo di lesione al DNA. Siccome il DNA rimane un ottimo target
per agenti anticancerogeni, è però imperativo identificare ed eliminare la formazione di lesioni premutagene
mantenendo nel contempo la formazione di quelle che inducono selettivamente citotossicità. In collaborazione con il
Prof. Gold (Pittsburgh University, USA) che ha sintetizzato nuovi agenti alchilanti in grado di indurre quasi
esclusivamente un solo tipo di lesione, stiamo studiando la metil-lexitropsina (Me-lex) uno specifico induttore di 3-
metiladenina (3-MeA) in sequenze ricche in A/T. Negli anni precedenti, utilizzando preferibilmente un sistema modello
in S. cerevisiae, ma più recentemente anche in linee cellulari di mammifero, abbiamo dimostrato come effettivamente
Me-lex sia una sostanza poco mutagena ed altamente citotossica e che i suoi effetti biologici siano fortemente
influenzati da specifiche competenze biologiche della cellula. In particolare, la citotossicità e la mutagenicità delle
lesioni indotte da Me-lex sono fortemente influenzate dalle capacità di riparazione del DNA: in assenza di capacità
riparative specifiche coinvolte nel processo di riparazione della 3MeA (Base excision repair, 3-metiladenina-DNAglicosilasi-
codificato dal gene MAG1, AP-endonucleasi, codificate dai geni APN1, APN2) le lesioni indotte da Me-lex sono
più citotossiche e più mutagene. E’stato valutato che anche le DNA polimerasi coinvolte nel processo di fissazione delle
mutazioni (Rev3, Rev1, Pol eta, codificate rispettivamente da REV3, REV1, RAD30) [nell’uomo la carenza di Pol eta
porta ad una sindrome come Xeroderma Pigmentosum-Variant (XPV)] influenzano mutagenicità e citotossicità della
molecola Me-lex. Per studiare la potenzialità mutagena e citotossica della Me-Lex in cellule eucariotiche superiori,
abbiamo applicato il test di mutazione al locus HPRT in fibroblasti di hamster cinese (CHO), proficienti nel pathways di
riparazione del DNA. I risultati ottenuti indicano che le cellule CHO proficienti nella riparazione del DNA presentano una
scarsa mutabilità anche se sottoposte ad alte dosi di Me-Lex. Questi dati sono in accordo con i dati di mutagenicità
ottenuti in lievito. L’analisi molecolare dei mutanti HPRT- ha evidenziato che: a) la maggioranza delle mutazioni indotte
da Me-lex è rappresentata da grosse delezioni (un tipo di mutazione, poco apprezzabile nel saggio di lievito
precedentemente utilizzato); b) le mutazioni puntiformi indotte (singole sostituzioni di basi) coinvolgono
prevalentemente coppie AT, in sequenze AT ricche, caratteristiche queste perfettamente compatibili con le
caratteristiche chimiche di questo nuovo agente antineoplastico.
L’ipotesi quindi che è alla base di questo progetto è che la formazione selettiva ed esclusiva della 3-mA rappresenta un
approccio nuovo per uccidere le cellule, minimizzando l’induzione di mutazioni che possono poi essere responsabili di
tumori secondari. L’interesse per questo tipo di studi è sviluppare nuovi agenti alchilanti (metilanti) con un potenziale
indice terapeutico migliore.
Obiettivo generale del progetto ed eventuali obiettivi secondari
Obiettivo generale: Utilizzare la Me-lex come prototipo di nuovi agenti alchilanti per capire quali sono i determinanti
cellulari che condizionano la citotossicità e la mutagenicità di specifiche lesioni (e.g. 3-mA, siti AP). Lo scopo ultimo è
quello di verificare in quali condizioni l’utilizzo di tali molecole può avere il più alto indice terapeutico – eventualmente
nel paziente. Questo obiettivo passa attraverso diverse fasi. Da una parte continuare con l’utilizzo della Me-lex e la
conseguente introduzione di lesioni distribuite in modo casuale su un target plasmidico, o nel genoma di linee cellulari
(1); dall’altra parte, approfondire a livello molecolare gli effetti biologici di specifiche lesioni in un contesto
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
sperimentale ancor più definito utilizzando l’introduzione di lesioni specifiche (3mA, sito AP) in uno specifico sito (e.g.
hotspot di mutazione nel cDNA di p53 precedentemente caratterizzato) (2). Gli specifici obiettivi sono:
– capire l’effetto del trattamento con Me-lex sul metabolismo del DNA, specificatamente se e come 3mA porti
all’instabilità dell’informazione genetica (mutazioni), ed in particolare attraverso processi d’instabilità cromosomica
(induzione di delezioni, riarrangiamenti, ecc.)
– determinare l’effetto di specifiche lesioni (sitoAP, e analoghi stabili della 3mA) e se questi effetti presentano un
effetto dipendente dal contesto di sequenza.
Impatto assistenziale certo o potenziale
A medio/lungo termine: possibili ricadute sul disegno di nuovi agenti antineoplastici e sull’utilizzo degli stessi in
condizioni di terapia personalizzata (ad es. in tumori ove specifici pathway di riparazione del DNA o di translesion
synthesis sono inattivati, ci si aspetta un potenziale incremento dell’effetto citotossico)
Risultati e prodotti 2010
1) Alla luce dei risultati ottenuti in cellule di Hamster cinese (CHO) è stata valutata la capacità ricombinogena di Me-lex
utilizzando linee cellulari di hamster, proficienti (CHO-9) o deficienti in specifiche funzioni riparative (EMC11- xrcc1 ber
deficient). In primis si è completato lo spettro di mutazione indotto da Me-lex in cellule ber-. In seconda battuta, è
stata determinata l’entità dello scambio dei cromatidi fratelli (SCE) e dei micronuclei (MN) in seguito a trattamento con
Me-lex. Le EM-C11 mostrano una sensibilità alla tossicità indotta da Me-lex circa 2.5 volte superiore a quella della linea
parentale. Lo spettro di mutazioni spontanee in EM-C11 mostra un’elevata percentuale di delezioni genomiche. Dopo
trattamento con Me-lex tale percentuale non varia, ma aumenta significativamente una classe di mutazioni mirate alle
zone regolatrici del gene. A basse dosi di Me-lex (50mM) il livello di SCE/cromosoma aumenta di circa 3 vo

lte sopra il
background in CHO-9, e dosi più elevate causano un drammatico aumento di MN e di nuclei frammentati. Nelle EMC-
11 il background di SCE e MN è molto superiore a quello osservato in CHO-9 e anche basse dosi di Me-lex
aumentavano significativamente tali valori. Questi risultati indicano che la mancanza della funzione riparativa di XRCC1
comporta elevate instabilità genomica e che anche bassi livelli di lesioni indotte da Me-lex, i.e. 3-mA, possono
esacerbare tale instabilità.
2) La tossicità della 3-mA è stata attribuita all’abilità della stessa lesione di bloccare la replicazione del DNA. Al fine di
valutare tale effetto e se esso dipende dal contesto di sequenza abbiamo sviluppato un sistema in vitro in grado
portare alla formazione di 3mA utilizzando Me-lex. Sono stati approntati inoltre diversi substrati per saggi di
replicazione del DNA in vitro contenenti un analogo chimicamente stabile della 3mA (3-methil-3-deazaadenina, 3mc3A),
o una lesione di controllo (un sito abasico stabile) localizzate in diverse posizioni di una particolare sequenza
nucleotidica (AAAA) trovata come hot spot di lesione e di mutazioni nel gene p53. Si è osservato che la 3-mA e la 3mc3A
mostrano un pronunciato effetto inibitorio sulla replicazione del DNA. Non è stata osservata nessuna influenza del
contesto di sequenza sul processo di replicazione per queste due lesioni, cosa che invece è evidente per il sito abasico.
Questi risultati indicano che il meccanismo molecolare della mutagenicità della Me-lex precedentemente caratterizzata
in sistemi di lievito, possa passare attraverso la formazione della 3mA che, a seguito della sua instabilità produce un
sito abasico, vero responsabile della mutagenicità sequenza dipendente osservata.
Pubblicazioni
Russo D.-Fronza G.-Ottaggio L.-Monti P.-Perfumo C.-Inga A.-Iyer P.- Gold B.-Menichini P.
XRCC1 deficiency influences the cytotoxicity and the genomic instability induced by Me/lex, a specific inducer of
N3/methyladenine.
DNA Repair (Amst) 9:728/736, 2010
Settles S.-Wang R.-Fronza G.-Gold B.
Effect of N3/methyladenine and an isosteric stable analogue on DNA polymerization.
J. Nucleic Acids 2010:426505;1/426505;14, 2010
Presentazioni a congressi
Russo D.-Fronza G.-Ottaggio L.-Monti P.-Inga A.-Gold B.-Menichini P.
XRCC1 deficiency influences the cytotoxicity and the genomic instability induced by ME-LEX, a specific inducer of N3-
methyladenine
Congresso “Environmental Mutagenesis in the North”, Oslo 15-18 settembre 2010
Russo D.-Fronza G.-Ottaggio L.-Monti P.-Inga A.-Gold B.-Menichini P.
XRCC1 deficiency increases cytotoxicity and genomic instability induced by ME-LEX, a sequence selective N3-adenine
methylating agent
Minisimposio SIMA 2010, Roma 15-16 novembre 2010
Monti P.-Menichini P.-Inga A.-Ottaggio L.-Russo D.-Gold B.-Fronza G.
Role of translesion synthesis polymerases in the mutagenicity of ME-LEX induced lesions
Congresso “Environmental Mutagenesis in the North”, Oslo 15-18 settembre 2010
Monti P.-Menichini P.-Ottaggio L.-Inga A.-Russo D.-Iyer P.-Gold B.-Fronza G.
Role of Translesion Synthesis Polymerases in the mutagenicity of Melex induced lesions
Minisimposio SIMA 2010, Roma 15-16 novembre 2010
Attività previste e risultati attesi nel 2011
In lievito si cercheranno le condizioni per effettuare un trattamento in vivo con Me-lex. Riuscire in questo intento
permetterebbe di valutare in situazioni specifiche e con un approccio più diretto e meno laborioso (rispetto al
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
trattamento in vitro di un plasmide con Me-lex seguito da trasfezione e crescita selettiva) quali geni sono più
importanti per la citotossicità e la mutagenicità indotta da Me-lex. Abbiamo in effetti un pannello di ceppi ottenuti da
EUROSCARF isogenici tra loro tranne che per delezioni di specifici geni coinvolti in processi di ricombinazione,
checkpoints, riparazione per dei mismatch etc.
Intendiamo inoltre valutare l’influenza di una 3m-c3A in due processi fondamentali per la cellula: a) la replicazione del
DNA in vivo utilizzando un substrato plasmidico ad hoc e b) la trascrizione in vitro (in collaborazione con la Dr. S.
Tornaletti, University of Florida USA). Nel primo caso intendiamo anche valutare l’influenza delle capacità delle cellule
di operare sintesi attraverso la lesione (Trans Lesion Synthesis, TLS), utilizzando ceppi proficienti o deficienti nelle
diverse TLS di lievito.
Caratterizzazione metabolica e funzionale in linee cellulari normali, tumorali e da pazienti affetti da
patologie con difetti nel metabolismo ossidativo
Linea di ricerca: 1 – Prevenzione e Cancerogenesi
Programma: b – Biomarcatori biologici e molecolari di esposizione, di danno, di suscettibilità e di rischio di cancro
Responsabile scientifico: Paolo Degan
Altro personale della struttura partecipante al progetto: Guido Frosina, Paola Menichini
Anno di inizio: 2009
Durata: 36 mesi
Parole chiave: stress ossidativi; cancerogenesi; malattie congenite; metabolismo energetico; microgravità;
invecchiamento; malattie neurodegenerative; nano- particelle
Altre strutture IST partecipanti: s.c. Anatomia e citoistologia patologica (S. Viaggi)
Altri Enti coinvolti: ISS, Roma (M. Bignami, J. Dogliotti;); CNR, Pavia (M. Stefanini); AIRFA, Associazione Italiana
Ricerca Anemia di Fanconi, Napoli (G. Pagano); Università di Sassari (P. Pippia); Università di Udine (S. Ambesi);
Università La Sapienza, Roma (E. Piccolella); ENEA, La Casaccia, Roma (R. Amendola); Università di Genova (M. Miele)
Tipologia progetto: preclinica
Area di interesse: descrittiva a fini conoscitivi
Soggetti cofinanziatori: Agenzia Spaziale Italiana; Fondazioni
Background
Lo stress ossidativo, e i danni che ad esso possono essere conseguenti, sono importanti segnali nella regolazione
fisiopatologica cellulare, tissutale e degli organismi in toto.
Le crescenti conoscenze nell’ambito della regolazione molecolare e biochimica dei processi fisiologici hanno
recentemente permesso di associare specifici marker e alterazioni fisiologiche ad eventi molecolari alla base di
specifiche alterazioni del metabolismo ossidativo.
Perciò la definizione dello stato redox può essere utile nella definizione di uno stato patologico e di aiuto nella
definizione diagnostica e prognostica in molte patologie come anche nella definizione di specifici trattamenti
terapeutici.
Obiettivo generale del progetto ed eventuali obiettivi secondari
L’equilibrio redox intracellulare è un importante meccanismo di regolazione. Nel nostro laboratorio ci occupiamo delle
conseguenze biochimiche di uno stress ossidativo sia nella induzione di danni a carico del DNA che per le alterazioni
indotte al metabolismo energetico e cellulare. In esperimenti in vitro le cellule in coltura vengono soggette a differenti
stress di natura chimica, fisica. Recentemente abbiamo introdotto la microgravità come strumento di studio di specifici
processi degenerativi correlati all’invecchiamento ed alla deplezione energetica. L’intero processo di manipolazione di
un danno al DNA (induzione, fissazione e rimozione) può concorrere nella formazione di fenotipi e genotipi cellulari
alterati ed il nostro laboratorio è coinvolto nello studio di difetti a tutti i livelli in questo processo. In questi studi stiamo
utilizzando come sistemi modello linee cellulari normali e derivanti da patologie caratterizzate da specifiche disfunzioni
metaboliche e linee di derivazione tumorale. Attraverso le numerose collaborazioni attive in questa linea di ricerca
vengono eseguite analisi da campioni e biopsie da animali di laboratorio e pazienti affetti da specifiche patologie.
Difetti nella induzione e riparazione di un danno ossidativo possono essere in

dici di uno stato patologico. Tali
alterazioni vengono rivelate, nel nostro laboratorio mediante dosaggi in HPLC/EC del marker 8-idrossi-guanosina (8-
oxo-dG). Recentemente le analisi sullo stress ossidativo si avvalgono anche della caratterizzazione del difetto, oltre
che a livello di DNA genomico, anche a livello di quello mitocondriale e a carico dell’RNA. La natura del difetto
biochimico non è spesso correlabile a specifiche pathways. Allo scopo di meglio caratterizzare il difetto biochimico che
è alla base di tali alterazioni cellule ed estratti proteici cellulari vengono studiati mediante caratterizzazione in western
blot, citofluorimetria a flusso ed analisi dei contenuti di ATP e stabilità mitocondriale. La dissezione dei processi
apoptotici e di quelli di equilibrio energetico sono, in tal senso, estremamente informativi.
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
Un recente sviluppo sulle tematiche dello stress ossidativo ha portato, in tempi recenti, ad un interesse nei confronti di
nano particelle (NP). Le NP sono attualmente un campo di interesse in fase di grande espansione. NP vengono
utilizzate in tutti i settori delle filiere industriali dalla preparazione di farmaci, anche in ambito di terapie oncologiche,
alla industria alimentare. D’altra parte le NP pongono anche significative sfide come potenziali agenti tossici. Non ci
sono ancora conoscenze specifiche su questo campo e mancano anche gli adeguati strumenti di regolamentazione per
il loro utilizzo. Il nostro gruppo sta preparando programmi e strategie per la valutazione dei potenziali effetti tossici e
genotossici potenzialmente correlati al loro utilizzo, con specifico interesse per quelle NP già utilizzate nell’ambito
terapeutico.
Impatto assistenziale certo o potenziale
Per quanto riguarda la attività di studio del danno ossidativo nell’ambito di patologie correlate ad un potenziale
sviluppo tumorale sono evidenti le possibili implicazioni assistenziali nella definizione di protocolli di trattamento (per
esempio con antiossidanti o con terapie mirate all’aumento delle attività di protezione). Nell’ambito delle NP si ritiene
che una definizione della potenziale tossicità e genotossicità di specifiche classi di NP possa essere utile per la
definizione dei materiali adeguati specialmente nell’ambito del loro impiego nella formulazione di farmaci.
Risultati e prodotti 2010
L’utilizzo delle tecniche per la quantificazione di uno stato di stress e di danno riconducibile ad uno sbilanciamento
dello stato red-ox cellulare (o di un organo e di un organismo) in dotazione al laboratorio ha permesso:
1 – La caratterizzazione di uno stato patologico infiammatorio significativo in un modello mouse per la colite
ulcerosa ed in un sistema cellulare per la poliposi familiare. Entrambe questi sistemi di indagine sono basati sulla
presenza di mutazioni a carico del gene MUTYH coinvolto nei meccanismi di riparazione BER.
2 – Lo sbilancio di attività red-ox caratterizzato in sistemi cellulari ad espressione alterata per il gene KRIT1,
coinvolto nella patologia CCM (Malformazioni Cerebrali Cavernose) che predispone a difetti neurologici, emorragie
e malformazioni cerebrali.
3 – Infine la caratterizzazione di attività difettive nella riparazione dell’addotto 5-metil-citosina, la modificazione
indotta da ossidanti a carico della citosina, ha permesso di caratterizzare, ulteriormente, alcune caratteristiche
deficitarie nella sindrome di Cockayne.
Nell’ambito della attività di ricerca focalizzata allo studio della anemia di Fanconi sono in progressione differenti
attività:
1 – Lo studio della differente suscettibilità di linee FA rispetto a linee normali e/o neoplastiche al trattamento con
differenti inibitori di GSH per una caratterizzazione della biochimica red-ox
2 – La caratterizzazione della espressione delle attività coinvolte nell’apoptosi mediante l’utilizzo di array-blots che
permettono la simultanea visualizzazione di 43 attività proteiche
3 – la suscettibilità di cellule FA e linee cellulari normali e/o tumorali nei confronti della microgravità.
Infine nell’ambito dello studio delle nano particelle è in preparazione la stesura di un manoscritto relativo alla
attività sperimentale svolta nella caratterizzazione della alterazione delle caratteristiche red-ox indotta dal
trattamento di differenti linee cellulari con ossidi di zinco e titanio.
Pubblicazioni
Casorelli I.-Pannellini T.-De Luca G.-Degan P.-Chiera F.-Iavarone I.-Giuliani A.-Butera A.-Boirivant M.-Musiani P.-
Bignami M.
The Mutyh base excision repair gene influences the inflammatory response in a mouse model of ulcerative colitis.
PLoS One 5(8):e12070;1/e12070;11, 2010
Goitre L.-Balzac F.-Degani S.-Degan P.-Marchi S.-Pinton P.-Retta S.
KRIT1 regulates the homeostasis of intracellular reactive oxygen species.
PLoS One 5(7):e11786;1/e11786;22, 2010
Cuccarolo P.-Barbieri F.-Sancandi M.-Viaggi S.-Degan P.
Differential behaviour of normal, transformed and Fanconi’s anemia lymphoblastoid cells to modelled microgravity.
J. Biomed. Sci. 17:63;1/63;10, 2010
Attività previste e risultati attesi nel 2011
Nel corso del 2011 sono previste differenti iniziative progettuali nell’ambito delle varie aree di interesse di questa
linea di ricerca.
1 – Specificamente per quanto riguarda la caratterizzazione dello stress ossidativo, considerando l’elevata
incidenza che un tale sbilancio implica nei confronti della suscettibilità patologica anche nei confronti di patologie
oncologiche, appare importante sensibilizzare la comunità scientifica nei confronti di una possibile definizione dei
parametri red-ox a livello individuale. E’ stato preparato uno studio focalizzato alla possibilità di impiegare un certo
numero di dosaggi analitici di semplice impiego e a costi contenuti che permetta la definizione dei parametri
fisiologici ed alterati di uno stress ossidativo a livello precoce e pre-genotossico. E’ previsto un lavoro di verifica
per una iniziativa progettuale in questo senso. La pubblicazione di un manoscritto inerente a questa area di ricerca
potrà fornire qualche indicazione sulla percezione di questo problema.
2 – Nel corso del 2010 sono stati scritti due progetti in ambito di caratterizzazione metabolomica per la anemia di
Fanconi. La metabolomica possiede caratteristiche per la caratterizzazione di difetti biochimici inerenti ad una
fisiologia e ad un metabolismo alterati. Una tale caratteristica è d’altra parte condivisa da molte altre patologia
oncologiche e non oncologiche. Il lavoro eseguito per la preparazione dei progetti in ambito metabolomica verrà
sfruttato nel corso del 2011 per replicare richieste di finanziamento sul soggetto della anemia di Fanconi ma anche
per altre patologie di interesse all’istituto.
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
3 – Al di là degli studi di caratterizzazione dello stress ossidativo indotto dalla interazione di nano particelle con i
sistemi biologici in vitro in prospettiva si pensa di curare l’interesse allo studio dei sistemi di NP come carriers di
farmaci, soggetto per il quale c’è un grande interesse in ambito diagnostico.
Caratterizzazione funzionale delle proteine p53 mutanti: il loro ruolo nella cancerogenesi e strategie
terapeutiche
Linea di ricerca: 1 – Prevenzione e Cancerogenesi
Programma: c – Basi genetiche e molecolari della trasformazione neoplastica
Responsabile scientifico: Gilberto Fronza
Altro personale della struttura partecipante al progetto: Paola Menichini, Debora Russo, Paola Monti
Anno di inizio: 2009
Durata: 36 mesi
Parole chiave: proteine p53 mutate; caratterizzazione funzionale; saggio in lievito; polimorfismi
Altre strutture IST partecipanti: s.c. Anatomia e citoistologi

a patologica (L. Ottaggio); s.s. Prevenzione secondaria e
screening (L. Bonelli); s.s. Centro tumori ereditari (L. Varesco); s.s. Oncopatologia traslazionale
Altri Enti coinvolti: National Institute of Environmental Health Sciences, RTP, NC, USA (M.A. Resnick, D. Umbah);
Università di Genova (G. Bianchi-Scarrà, V. Andreotti); Istituto G. Gaslini, Genova (ML. Garré, V. Capra, R. Haupt);
Centre for Integrative Biology, Università di Trento (A. Inga)
Tipologia progetto: preclinica
Area di interesse: terapeutica/quality of life
Soggetti cofinanziatori: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
Background
Il gene soppressore di tumore TP53 (OMIM # 191170) codifica per una proteina coinvolta in molte vie cellulari che
controllano le risposte a vari segnali di stress. La proteina p53 è un fattore di trascrizione sequenza specifico espressa
nella maggior parte dei tipi di cellule ed attivato dopo stress genotossico o a seguito di segnali iperproliferativi, capace
di transattivare geni effettori sotto il controllo di elementi p53 responsivi (p53 REs). Il legame specifico al DNA da
parte della p53 selvatica è essenziale per il suo ruolo di soppressore tumorale. L’inattivazione del pathway di p53 è
presente in quasi tutti i tipi di tumore, specialmente attraverso mutazioni del gene TP53 stesso. A differenza di altri
geni soppressori tumorali, mutazioni di TP53 sono molto frequentemente di tipo missenso, colpiscono un allele, mentre
il secondo allele viene perso durante la progressione del tumore. L’elevato numero di mutazioni somatiche nel dominio
di legame del DNA in tumori, e il conseguente elevato numero di singole sostituzioni aminoacidiche che si producono
(circa 1300) suggeriscono che la funzione di p53 è estremamente sensibile ai cambiamenti e che nei tumori vi è la
selezione di cellule esprimenti una proteina mutante con una specifica funzionalità. Quest’ultima possibilità potrebbe
riflettere un effetto dominante negativo della proteina mutante su quella selvatica o l’acquisizione di nuove e specifiche
proprietà funzionali. Una frazione non trascurabile di mutazioni p53 in tumori non presentano una completa perdita di
funzione. Anzi, vi è una notevole eterogeneità sia strutturale che funzionale di singole proteine mutanti, tant’è che
alcune possono avere perso qualche funzione della proteina selvatica pur mantenendone (o acquisendone
specificatamente) altre.
Obiettivo generale del progetto ed eventuali obiettivi secondari
L’obiettivo di questo progetto è quello di determinare come questa eterogeneità funzionale impatti sulla eterogeneità
clinica (a) nei portatori di mutazioni p53 germinali, (b) in tumori di origine somatica e (c) sull’applicabilità di un nuovo
approccio terapeutico personalizzato basato sullo status di p53. Per quanto riguarda le mutazioni germinali p53,
abbiamo recentemente correlato i dati clinici dei pazienti presenti in una prima versione della banca dati dello IARC
con una classificazione funzionale dei singoli mutanti p53 in base alle residue proprietà trascrizionali (parzialmente
difettivi, con limitata capacità transattivante presente ma parziale, o gravemente difettivi, senza più capacità
transattivante). Utilizzando esclusivamente dati in letteratura abbiamo osservato che i soggetti con alleli gravemente
difettivi sono stati associati a una più grave storia familiare di cancro, un più elevato numero di tumori, ed una età di
diagnosi più precoce. Queste scoperte interessanti, che possono aiutare nella gestione di soggetti che hanno ereditato
mutazioni p53, hanno bisogno di un’ulteriore valutazione, attraverso la determinazione indipendente di dati funzionali
per ogni p53 allele presente nella versione aggiornata della banca dati dello IARC, comprendenti anche altri endpoint
(ad esempio la funzionalità dei mutanti rispetto agli elementi p53 responsivi di importanti geni effettori scoperti
recentemente, il potenziale dominante dei mutanti p53 e la capacità degli stessi di interferire con i membri della
famiglia p53). Sia il fatto che la riattivazione farmacologia di mutanti p53 è esplorata come una nuova possibilità
terapeutica (vedi progetto P. Menichini), sia il fatto che polimorfismi del pathway di p53 potrebbero essere considerati
come fattori di suscettibilità, sembrano puntare verso collegamento tra funzionalità di p53 e potenziali applicazioni
cliniche. Recentemente, ad aumentare le nuove complessità nella regolazione della rete trascrizionale di p53 è emersa
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
l’identificazione di microRNAs come target trascrizionali di p53, l’importanza delle diverse isoforme di p53, e l’intricato
crosstalk tra i membri della famiglia p53.
Impatto assistenziale certo o potenziale
I risultati ottenuti porteranno ad una descrizione più dettagliata dal punto di vista trascrizionale della funzionalità
residua di mutanti p53 (capacità trascrizionale su geni responsivi, potere dominante, potere interferente). Questa
informazione funzionale può essere in primis utilizzata per confermare o no l’esistenza di una correlazione tra proprietà
trascrizionali dell’allele e caratteristiche cliniche nei soggetti carrier a livello germinale della mutazione. A medio e
lungo termine vi è la possibilità di ricadute sulla terapia personalizzata. Pensiamo infatti che sapere quali funzioni siano
compromesse e quali mantenute in mutanti p53 sia di fondamentale importanza per capire il loro ruolo nello specifico
processo cancerogenetico e porre le basi per una terapia personalizzata che tenga conto dello status di p53 nel tumore
di un paziente.
Risultati e prodotti 2010
1) Lo SNP309 e NB. Avevamo precedentemente trovato che lo SNP309 nel promotore di MDM2, era un fattore
prognostico negativo per bimbi affetti da Neuroblastoma (NB) di stadio 4 ma non per bambini con malattia localizzata.
Tale polimorfismo non risultava associato con altre caratteristiche cliniche, comprendenti l’amplificazione di MYCN e la
delezione del braccio corto del cromosoma 1. Al fine di definire meglio il coinvolgimento di questo SNP nel NB abbiamo
esplorato l’esistenza di associazioni con i principali marcatori tumorali biochimici, quali le concentrazioni urinarie
dell’Acido Vanil-Mandelico (VMA) e acido omo-vanillico (HVA) e le concentrazioni seriche di ferritina e lattato
deidrogenase (LDH), in una coorte di 497 bambini affetti da NB, iscritti nel registro italiano dei NB e precedentemente
genotipizzati per lo SNP309. I risultati ottenuti mostrano un’associazione tra lo SNP309 ed i livelli serici di ferritina e
LDH in pazienti NB di stadio 4. Questi risultati suggeriscono che il genotipo dello SNP309 può avere un impatto sulle
alterazioni del metabolismo energetico nelle cellule di NB.
2) Il potere dominante di alleli mutanti p53 in portatori di mutazioni germinali ha un impatto limitato sugli aspetti
clinici dei tumori sviluppati. In analisi precedenti avevamo mostrato che alleli con deficienza severa (SD) risultano
associati con sindromi di suscettibilità allo sviluppo dei tumori più severe, un maggior numero di tumori sviluppati
rispetto agli alleli con una deficienza funzionale parziale (PD). Visto che i mutanti p53 possono avere effetti Dominanti
Negativi (DN) abbiamo affrontato il rapporto tra DN e manifestazioni cliniche. Abbiamo pensato che gli effetti DN
potrebbero essere più forti nei casi di cancro associato a mutazioni germinali di p53, situazione in cui l’allele mutante e
quello selvatico coesistono sin dal concepimento. Abbiamo costruito 104 alleli mutanti p53 con singole sostituzioni
aminoacidiche descritte nel database della mutazioni germinali dello IARC e determinato per ognuno di essi la capacità
di (i) transattivazione e (ii) ridurre l’attività dell’allele selva

tico (i.e., effetto DN) utilizzando saggi quantitativi in lievito.
Le classificazioni funzionali di alleli p53 sono state poi correlate a variabili cliniche (IARC database). Abbiamo
confermato che una classificazione basata solo sulla transattivazione è in grado di identificare i casi di cancro familiare
con le caratteristiche cliniche più gravi. La classificazione basata sugli effetti DN ci ha permesso di evidenziare
associazioni simili, ma non ha rivelato distinte sottoclassi cliniche considerando solo alleli SD. Abbiamo concluso che in
portatori di mutazioni germinali, la classificazione degli alleli p53 basata sulla transattivazione sembra più importante
di quella basata sugli effetti DN per le correlazioni genotipo-fenotipo.
Pubblicazioni
Parodi S.-Perfumo C.-Garaventa A.-Inga A.-Mazzocco K.-Defferrari R.-Tonini G.P.-Fronza G.-Haupt R.
MDM2 SNP309 genotype is associated with ferritin and LDH serum levels in children with stage 4 neuroblastoma.
Pediatr. Blood Cancer 55:267/272, 2010
Attività previste e risultati attesi nel 2011
– Partecipare allo sviluppo di un sistema in lievito in grado di investigare efficientemente l’impatto di diversi fattori,
quali livelli di espressione, tipo di mutazione, cofattori proteici e piccole molecole con possibili funzioni di modulatori di
tali interazioni. Il sistema prevederà 1) un’espressione variabile e finemente modulabile di p53, 2) un gene reporter
(luciferasi) sotto il controllo di un promotore responsivo a p53, 3) un’aumentata possibilità di uptake di sostanze
chimiche mediante l’inattivazione di trasportatori di membrana (ABC transporter). Intendiamo valutare interattori
quali, MDM2, 53BP1 BRCA1 e altri.
– Valutare, in collaborazione con la Prof.ssa G. Bianchi-Scarrà dell’Università di Genova e la Dr.ssa Bonelli dell’IST, se
SNPs nel pathway di p53 modificano l’aggressività nello sviluppo del melanoma cutaneo. Sono pochi gli studi che
hanno affrontato questo argomento. In questo studio esploreremo la possibile associazione tra diversi SNPs nel
pathway di p53 (p53-P72R, -PIN3, MDM2 -SNP309) e le caratteristiche clinico patologiche di pazienti affetti da
melanoma cutaneo.
– Costruire, sulla base della funzionalità superiore rispetto al WT di alcuni mutanti p53 (noti come
SuperTransattivanti), i corrispondenti alleli mutanti negli altri partner della famiglia di p53 (p63/p73) e caratterizzare
loro funzionalità (transattivazione).
Riparazione del DNA
Linea di ricerca: 1 – Prevenzione e Cancerogenesi
Programma: c – Basi genetiche e molecolari della trasformazione neoplastica
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
Responsabile scientifico: Guido Frosina
Altro personale della struttura partecipante al progetto: Paolo Degan
Anno di inizio: 2009
Durata: 36 mesi
Parole chiave: tumori cerebrali; cellule staminali tumorali; gliomi; danno ossidativo; profilassi; sindrome di Cockayne
Altre strutture IST partecipanti: s.s. Oncologia molecolare e angiogenesi (A. Poggi)
Altri Enti coinvolti: U.O. Neurochirurgia, Istituto G. Gaslini, Genova (V. Capra); Dipartimento di Emato-Oncologia
Pediatrica, Istituto G. Gaslini, Genova (E. Cappelli); Università di Genova, Dipartimento di Scienze della Salute (A.
Izzotti); Department of Radiation Oncology, Emory University School of Medicine, Clifton Road NE, Atlanta, GA, USA
(Y.W. Kow); Laboratorio Epidemiologia Molecolare, Istituto Superiore di Sanità, Roma (E. Dogliotti); Istituto Genetica
Molecolare, Consiglio Nazionale Ricerche, Pavia (M. Stefanini); U.O. Neurochirurgia, E.O. Ospedali Galliera, (P. Severi)
Tipologia progetto: preclinica
Area di interesse: prevenzione primaria/secondaria
Soggetti cofinanziatori: Istituto Superiore Sanità; Compagnia di San Paolo
Background
La Riparazione del DNA è bifronte: da un lato provoca resistenza all’azione antineoplastica di vari agenti
chemioterapici, rimuovendo le lesioni citotossiche e causando perdita di efficacia terapeutica; dall’altro, la Riparazione
del DNA protegge le cellule normali dal danno al DNA sia di origine interna (ad es. danno ossidativo) che esterna
(danno da inquinanti ambientali o radiazioni), avendo quindi un’importante funzione antimutagena e anticancerogena.
La nostra ricerca verterà sui seguenti due aspetti:
1. Riparazione del DNA e resistenza di cellule staminali di glioma alla radio- e chemioterapia.
I gliomi sono la forma più comune di tumore cerebrale primario (per una recente rassegna v. Wen and Kesari, N. Engl.
J. Med. 359 (2008) 492-507). Nonostante siano 10 volte meno frequenti (circa 6 ogni 100,000 persone per anno nei
paesi occidentali) di grandi “killers” come i tumori del polmone o della mammella, essi rappresentano un grave
problema per le famiglie e più in generale per il sistema sanitario nazionale, essendo quasi sempre incurabili ed
affliggendo il paziente sia dal punto di vista somatico che psichico. Nonostante qualche limitato miglioramento nelle
tecniche chirurgiche e radio/chemio- terapiche, la prognosi per i pazienti con glioma rimane infausta, con una mediana
di sopravvivenza di 24-60 mesi per i pazienti affetti da astrocitoma anaplastico (grado III) e di 12-15 mesi per quelli
affetti da glioblastoma multiforme (grado IV). La difficoltà di cura è legata al carattere infiltrante di questi tumori ed
alla loro tendenza a recidivare dopo asportazione chirurgica. I tumori del sistema nervoso centrale sono anche il tipo di
tumore solido più comune nei bambini ed una causa importante di malattia e morte (Abdullah et al, Ann N Y Acad Sci.
2008 Sep;1138:22-31). Alcuni miglioramenti terapeutici sono stati di recente ottenuti per alcune forme pediatriche (in
particolare il medulloblastoma) mentre per i gliomi di alto grado non vi è stato alcun progresso. Pertanto, nonostante
la ricerca in questo campo sia per quanto possibile attiva, non vi è al momento alcun trattamento terapeutico efficace
per i gliomi di alto grado sia nell’adulto che nel bambino e la maggior parte dei pazienti muore in breve tempo. C’è
urgenza di mettere a punto nuovi farmaci che prendano di mira alcune caratteristiche specifiche che possono
rappresentare il “tallone d’Achille” dei gliomi di alto grado.
2. Protezione di cellule umane dal danno ossidativo tramite espressione di proteine di riparazione del DNA
Le cellule umane riparano il danno ossidativo con efficienza minore rispetto ad organismi meno evoluti. Per es.
l’enzima umano 8-oxoguanina DNA glicosilasi (OGG1) ripara la base ossidata mutagena 8-oxoguanina (8-oxoG) 80
volte più lentamente del suo corrispondente batterico formamidopirimidina DNA glicosilasi (FPG). Durante il triennio
2006-2008 abbiamo osservato che l’espressione della proteina FPG rende le cellule umane resistenti all’azione di
molteplici agenti mutageni (Ropolo M et al. Int. J. Cancer 2006, 118:1628-1634).L’espressione della proteina FPG o di
altre proteine eterologhe della Riparazione del DNA potrebbe quindi avere stabile effetto antimutageno su tessuti
normali di individui a rischio. Parte di questi studi hanno interessato cellule prelevate da pazienti affetti da sindrome di
Cockayne (CS) (Ropolo M et al. Free Rad. Biol. Med. 2007, 42:1807-1817). CS è una rara malattia autosomica
recessiva caratterizzata da alterazioni nello sviluppo pre o post-natale, che determinano la comparsa di nanismo
cachettico, e da progressiva disfunzione neurologica. Non vi è aumentata incidenza di tumori in questa malattia e
questo paradossalmente è di interesse per gli oncologi. La sindrome di Cockayne rappresenta infatti un’eccezione tra le
sindromi con difetti nella Riparazione del DNA (Xeroderma Pigmentoso, Human Non Polyposis Colorectal Cancer,
Anemia di Fanconi, Sindrome di Bloom, Ataxia Telangiectasia ed altre) le quali tutte hanno aumentata inc

idenza di
cancro. La sindrome di Cockayne ci indica perciò che, per avere sviluppo di tumori, oltre a difetti nella Riparazione del
DNA, ci vuole qualcos’altro. Gli studi tesi a caratterizzare e correggere il difetto molecolare alla base della sindrome di
Cockayne potrebbero dare indicazioni su fattori determinanti per lo sviluppo tumorale.
Obiettivo generale del progetto ed eventuali obiettivi secondari
Gli obiettivi generali della nostra ricerca sono :
1. Sensibilizzare i tumori cerebrali alla radio- e chemioterapia per evitare il rischio di recidiva. Tramite studi in vitro ed
in vivo, indagheremo se in presenza di inibitori delle checkpoint chinasi Chk1 e Chk2 le cellule staminali di glioma
divengano sensibili alla radiazione ionizzante e al temozolomide.
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
2. Proteggere le cellule umane di individui normali o con specifiche patologie (es. Sindrome di Cockayne; pazienti a
rischio di tumore polmonare) dal danno ossidativo.
Obiettivi intermedi.
– Isolamento di nuove linee cellulari da glioma con fenotipo staminale.
– Analisi di ciclo cellulare, velocità di crescita e fenomeni apoptotici in cellule staminali di glioma.
– Analisi dell’attivazione delle checkpoint chinasi in cellule staminali di glioma.
– Analisi della sensibilità ai farmaci ed alla radiazione ionizzante di cellule staminali di glioma in presenza o assenza
degli inibitori delle checkpoint chinasi.
– Identificare proteine di riparazione eterologhe la cui espressione combinata possa conferire protezione completa alle
cellule umane dai diversi tipi di lesione ossidativa al DNA.
– Chiarire il ruolo delle proteine CSA e CSB nella riparazione del danno ossidativo al DNA.
Impatto assistenziale certo o potenziale
Il basso grado di proliferazione delle cellule staminali di glioma potrebbe essere un importante meccanismo di
resistenza in queste cellule, conferendo ad esse tempo a disposizione per rimuovere le lesioni citotossiche prima
dell’arrivo della forca replicativa. Queste caratteristiche potrebbero essere comuni ad altri tumori come le leucemie
(Viale et al Nature 2009, 457, 51-56). Le terapie miranti alla reversione del blocco del ciclo cellulare nelle cellule
staminali di glioma potrebbero produrre una completa eradicazione del tumore cerebrale. In particolare gli inibitori
delle chinasi ATM, Chk1 e Chk2 potrebbero effettivamente sensibilizzare le cellule staminali di glioma a radiazione
ionizzante e ad agenti alchilanti permettendo di superare i checkpoint attivati costitutivamente. In conclusione, l’uso di
inibitori dei checkpoint del ciclo cellulare potrebbe migliorare significativamente l’efficacia dei trattamenti chemio- e
radioterapici dei gliomi.
La proteina FPG ripara principalmente purine ossidate come la 8-oxoG. Lesioni diverse come le pirimidine ossidate (es.
5-idrossi citosina) o rotture del DNA a singolo e doppio filamento possono contribuire grandemente alla mutagenesi da
danno ossidativo. Verranno identificate proteine di riparazione eterologhe, che da sole o in combinazione con FPG,
possano conferire una protezione completa alle cellule umane dai diversi tipi di lesione ossidativa al DNA e rendere
disponibile quindi un efficace e stabile strumento di protezione dei tessuti umani .
Risultati e prodotti 2010
Nel 2010 abbiamo iniziato lo studio degli inibitori di checkpoint del ciclo cellulare quali agenti sensibilizzanti le cellule
staminali di glioma alla radioterapia. Sono state isolate e caratterizzate due linee di glioma di alto grado (Borru e 177)
che esprimono livelli molto diversi di markers di staminalità (p.es. CD133, Musashi-1 e Sox-2). Su queste cellule stiamo
vagliando nove diversi inibitori dei checkpoints del ciclo cellulare per verificare se qualcuno di essi possa sensibilizzare
specificamente le sole cellule che esprimono alti livelli di markers di staminalità (Borru) ma non cellule con bassa
espressione di markers di staminalità (177). Abbiamo anche passato in rassegna la letteratura scientifica per fare il
punto sul ruolo della riparazione del DNA nella protezione di cellule staminali normali dalla mutagenesi spontanea e nei
meccanismi di resistenza di cellule staminali tumorali alla radio- e chemioterapia.
Nel 2010 sono stati condotti ulteriori studi sulla protezione dei tessuti umani dal danno ossidativo tramite espressione di
proteine eterologhe. A questo proposito è stato utilizzato il modello patologico offerto dalla Sindrome di Cockayne (CS).
Abbiamo chiarito il ruolo delle proteine CS-A e CS-B nella riparazione delle basi pirimidiniche ossidate del DNA. Questo
studio è stato eseguito tramite saggi in vitro ed in vivo ed utilizzando fibroblasti derivati da pazienti CS e relativi
controlli. Sono stati utilizzati due agenti ossidanti modello: uno chimico (il potassio bromato) ed uno fisico (radiazioni
ionizzanti). La risposta di CS al danno ossidativo è stata studiata analizzando: 1. la induzione e riparazione di pirimidine
ossidate (5-OHdC) in cellule integre tramite HPLC/ED; 2. l’efficienza di riparazione in cellule lisate incubate con substrati
oligonucleotidici contenenti una singola lesione 5-OH-dC. Questi esperimenti hanno dimostrato che le cellule prelevate
dai pazienti con sindrome di Cockayne sono difettive nella riparazione delle pirimidine ossidate. Abbiamo inoltre
studiato la proteina batterica FPG quale possibile strumento per correggere il difetto di riparazione del danno ossidativo
in CS. Abbiamo mostrato nel 2007 che la proteina FPG di E.coli corregge completamente il difetto di riparazione delle
purine ossidate (8-oxodG) in ambedue i gruppi di complementazione di CS. Quest’anno abbiamo osservato che la
proteina FPG corregge completamente anche il difetto di riparazione delle pirimidine ossidate in CS. Pertanto,
l’espressione della proteina FPG corregge il difetto di riparazione di quasi tutte le basi ossidate del DNA in CS, siano
esse purine o pirimidine. FPG rappresenta quindi un possibile strumento per tentativi di terapia genica per correggere il
difetto di riparazione del DNA in questa sindrome neurodegenerativa. In conclusione questi studi di espressione della
proteina FPG in cellule umane possono dare utili indicazioni su come proteggere tessuti umani a rischio di
degenerazione e/o trasformazione a causa dell’accumulo di danno ossidativo al DNA.
Pubblicazioni
Foresta M.-Ropolo M.-Degan P.-Pettinati I.-Kow Y.-Damonte G.-Poggi A.-Frosina G.
Defective repair of 5/hydroxy/2’/deoxycytidine in Cockayne syndrome cells and its complementation by Escherichia coli
formamidopyrimidine DNA glycosylase and endonuclease III.
Free Radic. Biol. Med. 48:681/690, 2010
Frosina G.
The bright and the dark sides of DNA repair in stem cells.
J. Biomed. Biotechnol. 2010:845396;1/845396;14, 2010
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
Frosina G.-Dogliotti E.-Botta E.-Calcagnile A.-Degan P.-D’Errico M.-Foresta M.-Lemma T.-Narciso L.-Nardo T.-Oneda R.-
Orioli D.-Ropolo M.-Stefanini M.
Genetic, molecular and functional characterization of Cockayne syndrome, a rare transcription/repair defective
hereditary disease.
Rapporti ISTISAN, 10/2, p. 59-61, 2010
Presentazioni a congressi
Frosina G.
Relazione su invito “Genetic, molecular and functional characterization of Cockayne syndrome, a rare
transcription/repair defective hereditary diseases”
3rd International Conference “Rare Diseases and Orphan Drugs”, Roma, Feb 22-26, 2010
Frosina G.
Relazione su invito “DNA repair and glioma resistance”
9th meeting of the European Association for NeuroOncology (EANO), Maastricht, The Netherlands, Sept 16-19, 2010
Attività previste e risultati attesi nel 2011
Nel 2011 definiremo i meccanismi con cui gli inibitori della risposta al danno al DNA alterano la sensibi

lità di cellule
staminali di glioma (Borru) e non staminali di glioma (177) . In particolare determineremo le variazioni di ciclo
cellulare, velocità di crescita e fenomeni apoptotici indotte dagli inibitori di ATM, Chk1 e Chk2 in cellule irradiate, per
determinare quali variazioni correlino con la aumentata o diminuita sensibilità alla radiazione ionizzante.
Passeremo inoltre in rassegna la letteratura per fare il punto sulle nuove terapie che mirano a migliorare la
sopravvivenza dei pazienti con glioma, prendendo a bersaglio le cellule staminali tumorali.
Un altro aspetto interessante che studieremo nel 2011 riguarda il ruolo emergente delle proteine della sindrome di
Cockayne nel processamento degli intermedi di riparazione (Wong et al, Nucleic Acids Res 35: 4103-4113, 2007) ed il
suo possibile coinvolgimento nella neurodegenerazione progressiva. Questa correlazione è già stata dimostrata in altre
sindromi, quali l’atassia telangiectasia (AT), l’atassia con apraxia oculomotoria di tipo 1(AOA1) e l’atassia
spinocerebellare con neuropatia assonale di tipo 1 (SCAN1), in cui sono stati identificati specifici difetti nella
riparazione delle rotture a singolo filamento (SSB), un tipo di lesione generato dalle specie reattive dell’ossigeno (per
una rassegna vedi Rass et al, Cell, 130: 991-1004, 2007). In particolare ci proponiamo di caratterizzare ulteriormente
i difetti biochimici e molecolari responsabili dell’aumentata sensibilità agli agenti ossidanti definendo il ruolo delle
proteine di Cockayne nel processamento degli intermedi di riparazione, nell’espressione dei geni redox e nel
rimodellamento della cromatina.
Infine, nel 2011 studieremo il possibile utilizzo della proteina FPG nella protezione di cellule di trabecolato oculare dal
danno ossidativo. La protezione di queste cellule può rappresentare una valida strategia per la prevenzione del
glaucoma.
Studio dell’attività citotossica p53-dipendente di piccole molecole di nuova sintesi: attivazione di
pathways di morte cellulare in cellule tumorali umane
Linea di ricerca: 1 – Prevenzione e Cancerogenesi
Programma: c – Basi genetiche e molecolari della trasformazione neoplastica
Responsabile scientifico: Paola Menichini
Altro personale della struttura partecipante al progetto: Gilberto Fronza, Debora Russo, Paolo Degan
Anno di inizio: 2009
Durata: 36 mesi
Parole chiave: proteine p53 mutate; PRIMA-1; azacianine; nuovi agenti antineoplastici; citotossicità
Altre strutture IST partecipanti: s.c. Anatomia e citoistologia patologica (L. Ottaggio)
Altri Enti coinvolti: Scuola Medica, Università di Pisa (M. Masini)
Tipologia progetto: preclinica
Area di interesse: terapeutica/quality of life
Soggetti cofinanziatori: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
Background
Lo sviluppo di nuove terapie antineoplastiche che siano in grado di colpire selettivamente le cellule cancerose
rappresenta senza dubbio una delle aree più attive della ricerca pre-clinica.
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
– Un ruolo chiave nella risposta ai vari trattamenti antitumorali è quello svolto dal prodotto del gene oncosoppressore
TP53. La mancata funzionalità della proteina p53 e la deregolazione dei pathways da essa controllati sono ampiamente
dimostrate nei tumori. Cellule tumorali che esprimono una proteina p53 mutata sono generalmente incapaci di
arrestare la progressione del ciclo cellulare e/o di andare in apoptosi e ciò può determinare una significativa resistenza
alla chemioterapia. Per queste ragioni la riattivazione di proteine p53 mutate rappresenta una strategia promettente
per sviluppare nuove terapie antitumorali. Nel nostro laboratorio abbiamo intrapreso lo studio dell’attività di PRIMA-1
(P53-Reactivation and Induction of Massive Apoptosis), una piccola molecola che è in grado di inibire selettivamente la
crescita di cellule tumorali che esprimono una p53 mutata, attraverso l’induzione di una forte risposta apoptotica.
Nonostante la capacità di PRIMA-1 di indurre apoptosi sia ben documentata, i nostri dati ottenuti in cellule derivate da
tumori polmonari e particolarmente resistenti all’induzione di apoptosi, suggeriscono che la citotossicità di PRIMA-1
può derivare dall’attivazione di pathways alternativi all’apoptosi e non ancora studiati in cellule trattate con questa
molecola (come ad es. autofagia, necrosi o senescenza). Inoltre, come riportato in letteratura e osservato anche nei
nostri esperimenti, PRIMA-1 induce una redistribuzione della p53 mutata nel nucleolo e ciò potrebbe rappresentare una
via alternativa di regolazione dell’attività della p53 stessa. Da queste evidenze si evince che il meccanismo di azione di
PRIMA-1 può non essere univoco, ma dipendere dalle caratteristiche del tessuto o dal tipo cellulare utilizzato. PRIMA-1
si dimostra quindi una molecola interessante per studiare vie di morte alternative all’apoptosi in cellule tumorali molto
resistenti a trattamenti chemioterapici convenzionali.
– Un’altra tipologia di molecole da studiare per sviluppare nuove terapie è quella in grado di bloccare la replicazione del
DNA, generalmente molto attiva nelle cellule tumorali. In questo caso, i bersagli possono essere svariati. Uno di questi
è rappresentato da sequenze di DNA che possono adottare conformazioni alternative alla forma B di Watson-Crick (i.e.
triplex, G-quadruplex). Sequenze ripetute capaci di adottare strutture non canoniche sono molto frequenti nel genoma
umano. Tali strutture secondarie possono essere stabilizzate e rappresentare un forte blocco alla progressione della
forca replicativa, inducendo rotture nel DNA e quindi fragilità cromosomica. Piccole molecole con alta affinità e
selettività per questo tipo di strutture stanno quindi cominciando ad essere considerate per lo sviluppo di nuovi farmaci
antineoplastici. Il gruppo del Prof. Hud (School of Chemistry and Biochemistry, Georgia Institute of Technology, USA)
ha recentemente sviluppato nuove molecole, basate sulla struttura delle azacianine, in grado di legare in maniera
altamente specifica strutture G-quadruplex basate sulla sequenza telomerica umana. Dati preliminari ottenuti nel
laboratorio del Prof. Lobachev (School of Biology, Georgia Institute of Technology) indicano che queste molecole
promuovono la rottura di regioni genomiche a sequenza ripetuta GAA/TTC capaci di formare una struttura triplex. Il
trattamento di cellule eucariotiche di lievito con queste molecole inibisce la proliferazione cellulare e induce arresto in
G2/M. Dal momento che molti processi biologici sono conservati dal lievito all’uomo e che ci sono circa 1000 loci
GAA/TTC nel genoma umano, lo studio dell’attività citotossica di queste molecole in cellule umane e, in particolare, in
cellule tumorali, potrebbe fornire conoscenze utili per lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali.
Obiettivo generale del progetto ed eventuali obiettivi secondari
L’obiettivo di questa ricerca è quello di utilizzare nuove molecole, somministrate da sole o in combinazione, per inibire
la proliferazione di cellule tumorali attraverso l’induzione di diversi pathways di morte cellulare. Saranno prese in
esame due diverse tipologie di molecole aventi principalmente due bersagli cellulari: i) le proteine p53 mutate e ii) la
replicazione del DNA.
Come molecola diretta verso la proteina p53 mutata studieremo PRIMA-1 (p53 Reactivating and Induction of Massive
Apoptosis 1), una molecola capace di riattivare le funzioni transattivanti di p53 e indurre apoptosi. Sulla base dei dati
sperimentali ottenuti fino ad oggi nel nostro laboratorio, intendiamo approfondire i seguenti aspetti:
– attivazione di pathways di morte cellulare, alternativi all’apoptosi, in linee tumorali ad opera di PRIMA-1;
– effetto siner

gico tra PRIMA-1 e altri farmaci antineoplastici convenzionali;
– effetto di PRIMA-1 sulla funzionalità e sulla localizzazione cellulare di p53.
Per quanto riguarda lo studio di molecole in grado di bloccare la replicazione del DNA, valuteremo l’attività delle
azacianine, piccole molecole che legano selettivamente strutture G-quadruplex nel DNA ma che, per la loro
conformazione, non sono in grado di legare la struttura B del DNA. Per queste molecole valuteremo diversi end-points
(induzione di apoptosi e/o necrosi e effetti sulla proliferazione cellulare) in relazione allo status funzionale della p53 e
alla capacità riparativa delle cellule.
Mentre gli studi dell’attività di PRIMA-1 rappresentano la continuazione di un progetto in corso che ha già prodotto
numerosi risultati (pubblicati e in corso di pubblicazione/stesura), gli studi sulle azacianine sono in una fase
preliminare e si avvalgono di una proficua collaborazione con il gruppo americano che ha sviluppato queste molecole
(Profs. Hud e Lobachev, Georgia Institute of Technology, USA). I risultati che otterremo con lo svolgimento delle
diverse fasi di questo progetto potranno contribuire a comprendere meglio i meccanismi molecolari che stanno alla
base dell’azione di queste nuove molecole. Dal momento che queste molecole agiscono su bersagli cellulari diversi, la
loro combinazione potrebbe risultare molto efficace e permettere l’utilizzo di dosaggi inferiori di farmaco.
Impatto assistenziale certo o potenziale
I risultati ottenuti porteranno ad una maggiore comprensione dei meccanismi molecolari che sono alla base dell’attività
citotossica di piccole molecole di nuova sintesi da utilizzare per lo sviluppo di nuovi percorsi terapeutici, anche in
combinazione con farmaci chemoterapici convenzionali. Dal momento che la tossicità di queste molecole può dipendere
dallo stato funzionale della p53, si prevede la possibilità di ricadute, a medio e lungo termine, sulla terapia
personalizzata (es. in tumori esprimenti forme mutate della p53 e che si mostrano particolarmente resistenti al
trattamento).
Risultati e prodotti 2010
Abbiamo dimostrato che in cellule tumorali MDA-MB-231 che esprimono la proteina p53 mutata p53R280K, il
trattamento con PRIMA-1 induce una significativa localizzazione nucleolare della proteina p53 associata alla sua
degradazione in seguito ad ubiquitinazione. Cellule T100, ovvero cellule derivate dalla linea MDA-MB-231 in cui la
p53R280K è stata silenziata attraverso “RNA interference” e quindi p53-KD, si sono dimostrate più sensibili al
trattamento con PRIMA-1 rispetto alle cellule parentali che esprimono alti livelli di p53 mutata. I nostri risultati indicano
Consuntivo 2010 – Programmazione 2011
che PRIMA-1 può scatenare una via di morte cellulare che induce degradazione delle proteine, inclusa la p53,
eliminando di conseguenza una funziona della p53 mutata che conferisce resistenza a PRIMA-1 (Russo D. et al., 2010).
Dal momento che le cellule tumorali accumulano spesso alti livelli di p53 mutata, diventando così resistenti al
trattamento con chemioterapici classici, PRIMA-1, o molecole da essa derivate, potrebbe rappresentare uno strumento
valido per ridurre il livello di p53 mutata e uccidere le cellule tumorali. Questa strategia potrebbe essere vincente
specialmente in cellule particolarmente resistenti ai chemioterapici classici. L’analisi al FACS della percentuale di cellule
in subG1, la determinazione del “cleavage” di PARP e la valutazione dell’induzione di depolarizzazione della membrana
mitocondriale, hanno rivelato che in queste cellule PRIMA-1 non è in grado di indurre apoptosi. Tuttavia, attraverso la
quantificazione dell’induzione di vescicole MAP-LC3 e analisi al microscopio elettronico (Dott.ssa M. Masini, Scuola
Medica, Università di Pisa) abbiamo dimostrato una forte induzione di autofagia che quindi può rappresentare un
meccanismo alternativo indotto da PRIMA-1 (manoscritto in preparazione).
Utilizzando una tecnologia innovativa che permette di determinare in tempo reale sia la proliferazione che la migrazione
cellulare (xCELLigence, Roche) abbiamo iniziato lo studio della tossicità di PRIMA-1 e di inibitori dell’autofagia in cellule
MDA-MB-231, nelle cellule T100 da esse derivate e in cellule tumorali che esprimono o meno una p53 selvatica
(HCT116 p53+/+ e HCT116 p53-/-). L’utilizzo di questo strumento ci ha permesso di misurare interessanti cambiamenti
di adesione e migrazione cellulare in cellule p53-KD. Inoltre abbiamo osservato che nonostante PRIMA-1 sia stata
identificata come molecola in grado di riattivare la p53 mutata, essa ha anche un’attività citotossica in cellule tumorali
che esprimono una p53 selvatica.
Pubblicazioni
Russo D.-Ottaggio L.-Penna I.-Foggetti G.-Fronza G.-Inga A.- Menichini P.
PRIMA/1 cytotoxicity correlates with nucleolar localization and degradation of mutant p53 in breast cancer cells.
Biochem. Biophys. Res. Commun. 402:345/350, 2010
Presentazioni a congressi
Nucleolar localization and degradation of mutant p53 correlate with cell death induced by PRIMA-1 in MDA-MB-231
breast cancer cells
Relazione al Simposio SIMA “Instabilità genomica e Riparazione del DNA: nuovi paradigmi per la ricerca traslazionale”,
Roma, 15-16 Novembre 2010
Attività previste e risultati attesi nel 2011
Le attività previste per il 2011 saranno rivolte allo studio delle seguenti problematiche:
– la caratterizzazione dell’autofagia indotta da PRIMA-1, nelle cellule MDA-MB-231, nelle T100 da esse derivate (p53-
KD) e in cellule tumorali che esprimono o meno una p53 selvatica (HCT116 p53+/+ e HCT116 p53-/-). In particolare
vorremmo capire: i) se l’autofagia che osserviamo è dipendente dall’espressione di p53 selvatica o mutata e ii) se la
tossicità indotta da PRIMA-1 è dovuta a morte cellulare per autofagia
– la definizione della correlazione tra la localizzazione nucleolare di p53R280K, la sua degradazione e la tossicità in
seguito al trattamento con PRIMA-1. Utilizzeremo un inibitore del preteasoma, come l’MG132, per verificare se
l’inibizione della degradazione della p53R280K causata da questa molecola, determina un cambiamento della
localizzazione nucleolare ed eventualmente della tossicità di PRIMA-1. Questo indicherebbe che la localizzazione
nucleolare è un evento necessario per la degradazione di p53 mutata e per la tossicità indotta da questa molecola
– l’analisi della capacità di migrazione e invasione cellulare nelle MDA-MB-231, T00 e altre linee cellulari derivate da
tumori al seno che esprimono differenti proteine p53 mutate. A questo scopo utilizzeremo lo strumento XCELLigence
che permette di valutare in tempo reale sia la proliferazione che la migrazione cellulare. Useremo PRIMA-1 e RITA, due
piccole molecole di nuova sintesi che potrebbero modulare l’interazione della p53 con possibili “interattori” ritenuti
importanti per la risposta delle cellule tumorali ad agenti chemioterapici (es. 53BP1) e per la modulazione di migrazione
ed invasività (es. p63)
– l’analisi della capacità di PRIMA-1 di aumentare i livelli di ROS intracellulari e di formare addotti con i gruppi tiolici
della p53 mutata. Tale attività sembra essere alla base della capacità di questa molecola di riattivare le funzioni
selvatiche perdute dalla p53 mutata. In collaborazione con P. Degan intendiamo studiare l’induzione di stress ossidativo
in seguito a trattamenti con PRIMA-1 in linee cellulari che esprimono p53 mutate

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