Meccanismi molecolari di risposta allo stress ossidativo cellulare.

Meccanismi molecolari di risposta allo stress ossidativo cellulare.

Università degli Studi di Udine

Abstract

Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) contribuiscono alla patogenesi e/o alla progressione di molte patologie umane. Le proteine sono importanti segnalatori molecolari di un danno ossidativo in atto. Tuttavia, rimane tuttora irrisolta la questione se la presenza di proteine modificate dall’ossidazione abbia un ruolo di tipo causale o se rifletta semplicemente un epifenomeno secondario. Soltanto una diretta identificazione e caratterizzazione delle proteine modificate in una determinata condizione patofisiologica, può chiarire il potenziale ruolo giocato dalle modificazioni proteiche indotte dai ROS. Lo stress ossidativo è il principale evento patogenetico che si verifica in varie malattie umane, da quelle metaboliche a quelle proliferative. Mentre sono ben noti vari markers di stress ossidativo di tipo cronico, non sono stati ancora determinati dei target proteici di danno ossidativo di tipo precoce. Allo scopo di identificare i meccanismi molecolari utilizzati dalle cellule eucariotiche per la risposta precoce allo stress ossidativo, verranno utilizzati diversi tipi di approcci, sia specifici per singoli geni candidati noti per essere coinvolti nella risposta cellulare al danno ossidativo (cioè NF-kB e APE/Ref-1), sia approcci di tipo globale che utilizzano l’analisi Proteomica Differenziale mediante gel bidimensionali e MALDI-MS, al fine di identificare e caratterizzare bersagli molecolari precoci di stress ossidativo in cellule eucariotiche e formulare così nuove ipotesi di lavoro. Questi obiettivi saranno perseguiti sia in vitro, utilizzando linee cellulari stimolate per tempi precoci con dosi acute di H2O2 esogena e stimolate mediante la produzione endogena di ROS in seguito allo stress generato dall’accumulo di proteine non correttamente strutturate nel lume del reticolo endoplasmatico, sia in vivo, in fegati umani trapiantati, nel modello di ischemia/riperfusione.
Inoltre, verrà intrapreso lo studio dei meccanismi molecolari attraverso i quali, una nota molecola antiossidante, la bilirubina non coniugata (UCB), può agire a livello cellulare, indagando sui meccanismi molecolari responsabili della modulazione dello stato redox cellulare da parte di questa. Questo verrà effettuato attraverso lo studio degli effetti della UCB sui target molecolari di stress ossidativo studiati nell’ambito del presente progetto.
Per il raggiungimento di tutti questi obiettivi verranno ampiamente utilizzate le moderne strategie di silenziamento genico, tecniche basate sull’uso di dominanti negativi, siRNA, siRNA inducibili e PNA al fine di studiare il ruolo biologico funzionale delle proteine che risultano essere le migliori candidate per la risposta cellulare allo stress ossidativo.
Questo progetto aiuterà a comprendere i meccanismi molecolari mediante i quali le cellule eucariotiche riescono a mantenere la loro omeostasi cellulare dopo un danno di tipo ossidativo e ad identificare nuovi bersagli terapeutici utili a proteggere le cellule da questo. Gli specifici biomarkers proteici identificati da tali approcci, risulteranno utili per lo studio di varie patologie correlate con lo stress ossidativo e rappresenteranno un nuovo punto di partenza per future ricerche in questo ambito. <<<

Coordinatore Scientifico del Programma di Ricerca

Gianluca TELL Università degli Studi di UDINE

Obiettivo del Programma di Ricerca

Non è ancora ben chiaro il meccanismo molecolare responsabile della risposta cellulare allo stress ossidativo. In particolare, sono ancora scarse le informazioni, in cellule eucariotiche, su sensori trasduzionali specifici per i ROS. L’importanza di ottenere informazioni su questi sensori proteici di stress ossidativo è data dal fatto che tali target molecolari possono costituire biomarkers precoci di tale condizione cellulare. Poichè lo stress ossidativo costituisce una caratteristica comune a vari eventi patogenetici, l’identificazione di biomarkers precoci di tale condizione sarà utile per ideare nuovi tipi di approcci diagnostici e terapeutici. In questo progetto tale problema verrà essenzialmente affrontato in linee cellulari umane e murine. Particolare attenzione verrà dedicata al modello cellulare epatico, che è ampiamente risaputo essere, in vivo, un bersaglio di stress ossidativo. Questi obiettivi saranno perseguiti sia in sistemi cellulari in vitro, stimolati per tempi precoci con dosi acute di H2O2 addizionata esogenamente che sottoposte a stress ossidativo mediante produzione intracellulare di ROS in seguito allo stress generato nel reticolo endoplasmico (RE) a causa dell’accumulo, nel lume dello stesso, di proteine non correttamente ripiegate, sia in vivo, nel modello di ischemia/riperfusione in fegati umani trapiantati. In particolare, gli obiettivi di questo progetto saranno: a) lo studio e la caratterizzazione di proteine già note per giocare un importante ruolo nella risposta cellulare allo stress ossidativo come il fattore di trascrizione NF-kB e il sensore redox nucleare APE1/Ref-1; b) l’identificazione, in epatociti, di target molecolari precoci di stress ossidativo mediante l’utilizzo della Proteomica Differenziale applicata a linee cellulari epatiche umane e al modello di ischemia/riperfusione in fegati umani trapiantati. Questo verrà effettuato mediante un esteso utilizzo dell’analisi elettroforetica bidimensionale accoppiata all’identificazione e alla caratterizzazione con Spettrometria di Massa; c) lo studio dei ruoli biologici di un noto antiossidante dei mammiferi, la bilirubina non coniugata (UCB), mediante lo studio dei meccanismi molecolari responsabili della regolazione dello stato redox cellulare da parte di UCB e delle sue proprietà antiossidanti. Per raggiungere tutti questi obiettivi verranno ampiamente utilizzate moderne strategie di silenziamento genico, tecniche basate sull’uso di dominanti negativi, siRNA e PNA che consentono di studiare il ruolo biologico funzionale delle proteine risultate essere le migliori candidate per la risposta cellulare allo stress ossidativo.
Questo progetto aiuterà a comprendere i meccanismi molecolari mediante i quali le cellule eucariotiche mantengono la loro omeostasi dopo un danno di tipo ossidativo e ad identificare nuovi bersagli terapeutici utili a proteggere le cellule da questo. Gli specifici biomarkers proteici identificati con tale approccio, risulteranno utili per lo studio di altre patologie correlate con lo stress ossidativo.
Quattro unità operative (O.U.), aventi già esperienze di collaborazioni reciproche, come dimostrato dalla letteratura disponibile, coopereranno per sviluppare tale progetto in modo altamente sinergico, ognuna fornendo la propria solida esperienza specifica. L’O.U.1 utilizzerà un duplice approccio, sia gene specifico, studiando il ruolo di APE1/Ref-1, sia globale, tramite moderne tecniche di Proteomica Differenziale, per studiare gli eventi molecolari precoci della risposta cellulare allo stress ossidativo in linee cellulari epatiche e nel modello di stress ossidativo di ischemia/riperfusione in epatociti da fegati trapiantati (in stretta collaborazione con il Dipartimento di Chirurgia dell’Università di Udine che vanta una lunga esperienza in trapianti di fegato); l’O.U.2 si occuperà del ruolo di NF-kB nella risposta cellulare allo stress ossidativo dovuto alla produzione di ROS intracellulari come conseguenza dello stress determinato dall’accumulo di proteine non correttamente ripiegate nel RE; l’O.U.3 studierà i meccanismi molecolari del ruolo antiossidante della bilirubina non coniugata (UCB); l’O.U.4 svilupperà moderne tecniche di silenziamento genico per inibire l’espressione genica di geni coinvolti nella risposta cellulare allo stress ossidativo, sia già noti (come APE1/Ref1), sia di nuova identificazione (come l’alcol deidrogenasi e altri geni che stanno emergendo dagli attuali studi). <<<

Durata

24 mesi

Base di partenza scientifica nazionale o internazionale

Le specie reattive dell’ossigeno (ROS), come H2O2, e i radicali OH° e O2°, svolgono importanti funzioni fisiologiche ma possono anche causare un vasto danno cellulare. Il bilancio tra funzioni fisiologiche e danno è determinato dal relativo rapporto tra produzione e rimozione dei ROS. Normalmente, queste specie sono rapidamente rimosse prima che possano causare disfunzioni cellulari ed eventualmente morte.
Lo stress ossidativo, un disequilibrio tra la produzione di ROS e le capacità di difesa antiossidanti della cellula [Sies (1985)], può colpire i principali componenti cellulari come lipidi, proteine, carboidrati e DNA. Questo fenomeno è stato associato strettamente ad una serie di patologie umane come malattie cardiovascolari, diabete, cancro e malattie neurodegenerative [Halliwell and Cross (1994); Bray (1999); Forsberg et al. (2001)]. Tali patologie sembrano essere per lo più correlate con uno stress ossidativo di tipo cronico, comunque anche l’esposizione a livelli acuti di ROS sembra essere responsabile di varie patologie, come l’insorgere della cataratta [Spector et al.(1993)] e di danni ai tessuti in seguito ad ischemia/riperfusione (I/R) in vari organi trapiantati come il fegato [Loguercio and Federico (2003); Poli and Parola (1997); Kang (2002)]. Numerose evidenze sperimentali mettono in luce molti meccanismi fra loro correlati che, nel corso della patogenesi, aumentano la produzione di ROS o diminuiscono le difese antiossidanti nei confronti del danno ossidativo, sebbene non sia del tutto chiaro l’esatto contributo di tali meccanismi. Informazioni sulla natura, così come sulla localizzazione e gli effetti dello stress ossidativo, si possono ottenere mediante l’analisi di specifici biomarkers isolati da tessuti e da fluidi biologici. I biomarkers sono indicatori cellulari puntuali dello stato fisiologico e dei suoi cambiamenti nel corso di un processo patologico. Tuttavia, la presenza di molecole che hanno subito un danno di tipo ossidativo può semplicemente riflettere epifenomeni secondari e non possedere un ruolo di tipo causale. Al momento non è possibile delineare chiaramente le relazioni causali esistenti, ma una crescente serie di evidenze indica che elevati livelli di ROS portano a precise conseguenze patologiche, amplificano notevolmente ed estendono il danno, portando alla degenerazione irreversibile di cellule e tessuti.
Il fegato è un modello adatto per lo studio della risposta cellulare indotta da stress ossidativo. Infatti i ROS giocano un ruolo cruciale nell’induzione e nella progressione di varie patologie epatiche [Loguercio and Federico (2003); Kurose et al. (1997)]. La patogenesi del danno coinvolge epatociti e cellule del Küppfer, cellule stellate e dell’endotelio attraverso apoptosi, necrosi, ischemia e rigenerazione, tutti processi che portano ad una alterata espressione genica [Loguercio and Federico (2003)]. Le principali fonti di radicali liberi sono rappresentate dai neutrofili, dalle cellule del Küppfer attivate da endotossine, dai mitocondri degli epatociti e dall’enzima citocromo P450 [Loguercio and Federico (2003)]. L’importanza di uno squilibrio dello stato redox cellulare in malattie epatiche è sottolineata da numerosi studi che dimostrano l’esistenza di una correlazione, in pazienti con patologie epatiche virali o da alcolismo, tra danno epatico e aumento di markers cellulari proossidanti [Loguercio and Federico (2003); Cardin et al. (2001)]. Comunque l’alterazione di questi markers si verifica solo in uno stato di squilibrio cronico dello stato redox cellulare e forse si verifica come epifenomeno dovuto al particolare stress al quale la cellula è sottoposta. Al momento sono ancora scarse le informazioni riguardo i target molecolari precoci di stress ossidativo in fegato, sebbene siano di grande interesse per sviluppare approcci terapeutici innovativi.
Numerose evidenze hanno indicato che lo stato redox cellulare regola vari aspetti della funzionalità della cellula [Nakamura et al (1997)] attraverso una complessa integrazione di numerosi meccanismi. Dosi subletali di ROS, generati da una ampia varietà di stimoli, possono agire come veri e propri secondi messaggeri all’interno della cellula, andando a modificare il profilo di espressione genica. Questo evento è mediato da modificazioni dell’espressione o dell’attività di importanti fattori di trascrizione, come NF-kB, AP-1, Egr-1 e le proteine Pax, che sono coinvolte nel controllo delle funzioni cellulari [Tell et al, (2005)]. Questa regolazione è controllata principalmente da una proteina nucleare, APE1/Ref-1, che è considerata un sensore redox cellulare. L’importanza del suo ruolo funzionale è rappresentata dall’osservazione che l’espressione e/o la localizzazione intracellulare è alterata in vari disordini di tipo metabolico e di tipo proliferativo, come nei tumori e nell’invecchiamento. In risposta ad uno stress di tipo ossidativo, APE1/Ref-1 può sia possedere attività endonucleasica di riparo dei siti apurinici/apirimidinici del DNA sia esercitare un controllo di tipo redox su vari fattori di trascrizione. Così questa proteina protegge le cellule dal danno indotto da ROS sia a livello del DNA, mantenendo la stabilità del genoma, sia a livello trascrizionale, attivando fattori di trascrizione che controllano i livelli di espressione di enzimi che agiscono come scavenger dei ROS (come SOD, catalasi,ecc..). Inoltre, quando sovraespresso, APE1/Ref-1 può proteggere le cellule dall’apoptosi innescata da diversi stimoli [Tell et al. (2005) ]. Non sono stati ancora chiariti i meccanismi molecolari responsabili della regolazione di questa proteina in risposta all’insulto ossidativo. E’ di enorme importanza comprendere se esistano relazioni tra livelli di APE1/Ref-1 e patologie umane, non solo per capire il ruolo e il meccanismo che APE1/Ref-1 può ricoprire nell’insorgenza e nello sviluppo di varie patologie correlate con lo stato redox, ma anche per lo sviluppo di markers diagnostici e di strumenti terapeutici per esse.
Uno dei fattori di trascrizione che è controllato in modo redox da APE1/Ref-1 è NF-kB [Nishi et al, (2002)]. I ROS sono stati proposti come attivatori di NF-kB. NF-kB (Nuclear Factor-kB) è una famiglia di fattori di trascrizione che gioca un ruolo fondamentale nella regolazione dell’immunità e dell’infiammazione, nella risposta allo stress ossidativo e nella regolazione dell’entrata in apoptosi.
E’ stato dimostrato il coinvolgimento di NF-kB nel controllo dei livelli di ROS intracellulari, mediante l’incremento della trascrizione di geni che controllano l’accumulo di ROS. Questi geni, come SOD2, che codifica per una forma mitocondriale dell’enzima antiossidante superossido dismutasi (SOD), e la catena pesante della ferritina, inibiscono entrambi la morte cellulare indotta da TNF riducendo i livelli intracellulari di ROS [Wong et al. (1989); Pham et al. (2004)]. Sebbene tali evidenze sperimentali sottolineino un ruolo dei ROS nella morte cellulare programmata, resta tuttavia ancora sconosciuto quale sia il target dell’ossidazione mediata dai ROS che promuove la morte cellulare indotta da TNF. Crescenti evidenze sperimentali suggeriscono che l’interazione tra NF-kB e la via di JNK giochi un ruolo cruciale nel mediare la morte cellulare programmata. Infatti la continua attivazione di JNK, mediata dall’accumulo di ROS, sembra mediare il processo di apoptosi. NF-kB protegge le cellule diminuendo l’attività pro apoptotica di JNK e controllando l’accumulo dei ROS. Dal momento che lo stress del reticolo endoplasmatico porta alla produzione di ROS ed all’attivazione delle vie di NF-kB e di JNK, questo sistema potrebbe rappresentare un valido modello per studiare l’azione di NF-kB nella protezione cellulare dallo stress ossidativo.
Uno dei più potenti antiossidanti endogeni è la bilirubina non coniugata (UCB), un abbondante pigmento che causa itterizia. Essa deriva dalla riduzione enzimatica, da parte della biliverdinareduttasi, della biliverdina, un prodotto dell’attività dell’emeossigenasi. Nonostante i suoi effetti nocivi, recenti studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che UCB possiede delle potenti proprietà antiossidanti, prevenendo così il danno ossidativo indotto da un’ampia varietà di stimoli di tipo ossidativo. Infatti, benché sia stato recentemente appurato che la bilirubina può danneggiare numerose funzioni cellulari a valori di Bilirubina non coniugata (Bf) leggermente inferiori al suo limite di solubilità acquosa di 70nM [Ostrow et al. (2003)], risulta evidente che la bilirubina possa costituire un potente antiossidante endogeno nei tessuti dei Mammiferi [Dorè and Snyder (1999); Dorè et al. (1999); Stocker et al. (1987)]. Un possibile meccanismo per spiegare questa evidenza è descritto in un recente lavoro di Baranano et al. Secondo questo articolo, la rigenerazione continua ed estremamente rapida di bilirubina a partire dal suo corrispondente ossidato biliverdina, da parte dell’enzima citosolico ubiquitario biliverdina reduttasi [Baranano et al. (2002)], può spiegare come concentrazioni nanomolari di bilirubina siano in grado di proteggere le cellule da concentrazioni di perossido mille volte più alte. E’ interessante notare come la biliverdina reduttasi sembri anche agire come fattore di trascrizione che stimola l’emeossigenasi-1 (HO-1) durante lo stress ossidativo, aumentando la produzione di bilirubina a partire dall’eme [Ahmad et al. (2002)].
Quindi, un’altra ipotesi in esame è che il ruolo antiossidante della bilirubina possa essere esercitato indirettamente, attraverso la modificazione del profilo di espressione genica della cellula. Infatti, dati preliminari provenienti da due dei laboratori coinvolti in questo progetto, suggeriscono che sia il fattore di trascrizione NF-kB che la proteina APE1/Ref-1 rispondano, in diverse linee cellulari, al trattamento con bilirubina. Al momento, non è noto quale sia il meccanismo responsabile del controllo dei livelli intracellulari di UCB in cellule di mammifero. Comunque, in accordo con recenti studi, la correlazione tra livelli plasmatici di UCB e l’espressione di un traslocatore anionico ATP-dipendente, collocato nella membrana plasmatica di molti tipi cellulari, la proteina MRP1, suggerisce un ruolo di tale proteina in questo ambito [Ostrow et al (2003)].
Per comprendere le basi molecolari delle patologie umane indotte da stress ossidativo, è importante identificare quei geni la cui espressione/funzione sia direttamente modificata da esso.
La variazione dell’espressione genica può essere studiata mediante due tipi di approcci: il primo consiste nello studio dell’espressione di un singolo gene candidato. In questo modo, è stato dimostrato che lo stress ossidativo dovuto a riperfusione post-ischemica, attiva NF-kB in cellule epatiche di ratto [Tacchini et al, (1997)]. Poiché è stato dimostrato che l’effetto dello stress ossidativo è mediato dalla modificazione di un complesso insieme di geni [Morgan et al, (2002)], lo studio di un singolo gene candidato non è adeguato per risolvere la complessità delle patologie epatiche correlate con lo stress ossidativo. Il secondo approccio utilizza tecniche, come il Differential Display, i DNA Microarray o la Proteomica, in grado di valutare modificazioni di un numero molto ampio di geni/prodotti genici simultaneamente.
Poco si sa riguardo alla risposta delle cellule eucariotiche allo stress ossidativo in termini di specie proteiche direttamente coinvolte, poiché la maggior parte degli studi sono stati compiuti solo a livello di RNA e in condizioni di stress ossidativo cronico. In questo progetto, verranno studiate le modificazioni molecolari di cellule eucariotiche sottoposte a stress ossidativo (sia generato per via endogena da parte del RE, sia dopo esposizione ad H2O2 esogena) mediante l’approccio del singolo gene candidato (focalizzando l’attenzione sul ruolo del fattore di trascrizione NF-kB e della proteina APE1/Ref-1) e mediante l’approccio globale, avvalendosi di metodi di Proteomica. In particolare verranno identificati biomarkers cellulari precoci di stress ossidativo in epatociti sottoposti ad elevate dosi di H2O2 per tempi brevi. Questo approccio, oltre a fornire valutazioni quantitative dei livelli di espressione di proteine cellulari in risposta ad un certo stimolo, fornirà informazioni sulle modificazioni post-traduzionali che avvengono in ciascuna proteina. Ciò assume una particolare rilevanza quando si considerino eventi cellulari precoci dopo uno stimolo e quando l’attivazione di una via di trasduzione del segnale avviene indipendentemente da neosintesi proteica.
Una volta identificati i biomarkers molecolari di stress ossidativo, verrà analizzato il loro ruolo funzionale mediante la tecnica del silenziamento genico. Agire su specifici geni con l’intento di modificarne l’espressione al fine di ottenere informazioni sulle loro funzioni biologiche, è stato un obiettivo a lungo perseguito dalla ricerca biotecnologica e medica [Giovannangeli and Hélène, (2000); Vasquez and Wilson, (1988); Xodo et al, (2004)]. Quest’ultimo obiettivo è divenuto particolarmente importante da quando il genoma umano è stato sequenziato. Fra le strategie ipotizzate per manipolare le funzioni dei geni in una cellula, quella basata sull’utilizzo di molecole di RNA sintetico ha ottenuto un vasto consenso negli ultimi anni [Elbashir et al, (2001); Reynolds et al, (2004)]. Un’attiva interferenza esercitata dal RNA è stata dedotta dall’osservazione che vi sono dei geni che codificano per proteine e geni che codificano solo per molecole di RNA che hanno importanti funzioni nella regolazione e nel differenziamento [Eddy, (2001); Yelin, (2003)]. Data la sua peculiare proprietà anti mRNA, il siRNA rappresenta un ottimo strumento per silenziare artificialmente singoli geni. Data una sequenza di mRNA, ogni sua stringa di 20-22 nucleotidi rappresenta un potenziale bersaglio per il siRNA. L’altra tipologia di molecola proposta come silenziatrice di geni è l’acido nucleico peptidico (PNA). Il PNA è una molecola che mima un DNA sintetico con uno scheletro pseudopeptidico composto da monomeri di N-(2aminoetil)glicina uniti mediante legami amidici. Le quattro basi nucleotidiche sono unite allo scheletro mediante legami metilencarbonilici [Nielsen et al (1991)]. Poiché il PNA è neutro, possiede un’elevata affinità sia per il DNA che per l’RNA contenenti le sequenze appropriate. Inoltre, il PNA è resistente sia alle nucleasi che alle proteasi. Viste tali proprietà il PNA può essere utilizzato in vivo contro bersagli collocati sia all’interno di RNA che di DNA [Diviacco et al (2001); Rapozzi et al. (2002); Cogoi et al. (2003)]. Al fine di incrementarne la localizzazione nucleare e l’entrata nella cellula, le sequenze di PNA possono essere fuse a segnali di localizzazione nucleare (PNA-NLS).

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